INTRODUZIONE
Gli sport outdoor sono quelle attività o discipline sportive che si svolgono all’aria aperta.
Negli ultimi vent’anni tali sport, in passato praticati da una ristretta parte della popolazione, hanno iniziato a coinvolgere tutte le fasce d’età, dai giovanissimi agli anziani.
Gli sport praticati all’aria aperta offrono molteplici benefici:
· Miglioramento della funzionalità dell’apparato respiratorio e cardiovascolare.
Aumenta il rifornimento di ossigeno verso tutti i tessuti del corpo e soprattutto verso i muscoli interessati alla pratica sportiva, diminuisce la pressione arteriosa, si riducono colesterolo LDL e trigliceridi e aumenta il colesterolo HDL (il cosiddetto colesterolo buono).
· Aumento della produzione di vitamina D.
L’esposizione al sole favorisce la produzione cutanea di vitamina D, importante nel metabolismo di calcio e fosforo, necessari per una corretta mineralizzazione ossea.
· Riduzione della massa grassa e miglioramento del metabolismo.
L’attività all’aperto, rispetto a quella indoor, è senza dubbio più imprevedibile: spesso ci si trova di fronte a terreni scoscesi e irregolari che costringono il corpo a sollecitazioni sempre nuove e impreviste; la conseguenza è un maggiore dispendio energetico con relativa diminuzione della massa grassa e quindi una riduzione del rischio di sovrappeso, obesità e sindrome metabolica.
· Miglioramento della funzionalità dell’apparato locomotore.
Aumentano forza, resistenza, coordinazione, flessibilità ed equilibrio.
· Miglioramento della funzionalità del sistema immunitario.
Praticare sport all’aria aperta aiuta l’organismo a rafforzarsi e ad essere meno soggetto a malattie infettive batteriche e virali.
· Miglioramento delle funzioni cognitive.
Durante e dopo l’attività sportiva vengono prodotte endorfine che danno un senso di benessere al soggetto, riducendo lo stress.
ATTIVITA’ SPORTIVA OUTDOOR E CUTE
Nel corso dell’attività sportiva outdoor, la cute dell’atleta viene esposta a differenti stimoli esogeni di tipo fisico-traumatico, chimico e biotico.
Le affezioni cutanee legate alla pratica sportiva possono essere suddivise in 4 gruppi:
· Dermatosi da stimoli traumatici.
Questo gruppo racchiude un’ampia varietà di quadri clinici peculiari, spesso provocati da un determinato gesto sportivo. Si tratta di lesioni come callosità e lichenificazioni a sede e morfologia tipica che rimandano a precise pratiche sportive.
· Dermatosi da agenti chimici.
Alterazioni cutaneo-mucose e annessiali da cloro o rame nelle piscine, dermatiti da contatto e reazioni avversi a farmaci.
· Dermatosi da agenti biotici.
Infezioni virali, batteriche e micotiche, di frequente riscontro negli sportivi a causa della presenza di molteplici fattori predisponenti quali l’aumentata sudorazione, l’ambiente caldo-umido e l’uso promiscuo di abbigliamento e attrezzature sportive.
· Dermatosi da fattori fisico ambientali.
Affezioni indotte da freddo, caldo, umidità, raggi ultravioletti, pressione e decompressione.
L’attività sportiva outdoor ha effetti positivi su alcune patologie dermatologiche come l’acne, l’eczema e la psoriasi, in quanto i raggi solari sono in grado di combattere lo sviluppo di batteri e di svolgere un’azione immunomodulatrice.
Non manca, però, il rovescio della medaglia, ossia i danni che possono scaturire da un’esposizione solare eccessiva.
Non proteggere adeguatamente la pelle, infatti, significa incorrere in una serie di reazioni fotobiologiche responsabili di effetti dannosi, sia acuti (eritemi) sia cronici (tumori cutanei).
I raggi ultravioletti (UV), inoltre, hanno la capacità di generare radicali liberi responsabili dello stress ossidativo, che favoriscono l’invecchiamento precoce della pelle.
I raggi UV sono suddivisi in tre tipi:
• UVC: sono bloccati dallo strato di ozono e non raggiungono la superficie terrestre.
• UVB: arrivano a contatto con la cute e si fermano a livello dell’epidermide. Sono i principali responsabili della carcinogenesi cutanea in quanto provocano danni al nucleo del cheratinocita.
• UVA: penetrano fino al derma medio-profondo e agiscono attraverso fotoreazioni ossigeno-dipendenti, inducendo un danno ossidativo a proteine e lipidi.
La radiazione solare ultravioletta deve essere considerata a tutti gli effetti un rischio di natura professionale per gli sportivi che si allenano all’aperto.
Dal 4 al 7 % di tutte le radiazioni viene riflesso dallo strato corneo; la maggior parte di quel che rimane si diffonde e viene assorbito.
Quest’ultimo fenomeno dipende dalla presenza nella cute di sostanze dette cromofori che possono essere epidermici (acidi nucleici, melanina, aminoacidi e acido urocanico) e dermici (emoglobina, bilirubina e carotenoidi).
Dalle radiazioni la cute si difende con meccanismi biofisici come l’iperplasia epidermica e l’iperpigmentazione.
Dopo 48-72 ore dall’irradiazione, l’attività mitotica cheratinocitaria aumenta di 2-3 volte e tale aumento dura circa 6 giorni.
La pigmentazione si verifica attraverso due tappe distinte: una immediata e dovuta soprattutto all’ossidazione della melanina presente nello strato corneo e un’altra, ritardata e persistente, dovuta all’aumentata produzione di melanina e all’aumento del numero di melanociti.
La permanenza al sole per un periodo più o meno prolungato può provocare la comparsa di un eritema solare.
Se l'esposizione è stata particolarmente intensa possono comparire vescicole o bolle seguite da erosioni (ustioni solari).
Dermatiti fototossiche e fotoallergiche sono invece causate dall’interazione dei raggi UV con una sostanza fotosensibilizzante assunta per via generale o in seguito a contatto con essa (soprattutto farmaci o composti chimici fotosensibilizzanti contenuti in creme, cosmetici o profumi).
L’esposizione ai raggi solari è responsabile di altri due fenomeni a carico della cute: dermatoeliosi e fotocarcinogenesi.
Questi effetti derivano dall'accumularsi dei danni causati da esposizioni prolungate al sole e sono tanto più precoci e marcati quanto più la pelle è chiara o non adeguatamente protetta.
La dermatoeliosi corrisponde al danno cronico, consistente in degenerazione e compattamento delle fibre elastiche nel derma superficiale (elastosi) e in un danno delle fibre collagene, con conseguente fotoinvecchiamento.
Nell’epidermide, alle discheratosi singole possono far seguito manifestazioni clinicamente apprezzabili come cheratosi attiniche e quindi tumori maligni (carcinomi basocellulari e spinocellulari, melanomi).
In particolare, la cheratosi attinica è una lesione circoscritta della cute fotoesposta, caratterizzata da ipercheratosi aderente, risultato di alterazioni dei cheratinociti, in risposta a un’esposizione prolungata ai raggi UV.
Le lesioni sono dovute al danno cumulativo esercitato dalle radiazioni solari e si riscontrano più frequentemente su viso, collo, padiglioni auricolari, cuoio capelluto, dorso delle mani e avambracci.
Gli UVB sono i maggiori responsabili, ma è stato dimostrato anche il ruolo esercitato dagli UVA.
Classicamente la cheratosi attinica è ritenuta la più comune precancerosi cutanea e la sua possibile evoluzione neoplastica è costituita dal carcinoma spinocellulare.
Rispetto al carcinoma basocellulare o spinocellulare, il cui fattore di rischio più importante è rappresentato da un’esposizione alla luce solare continuativa nel tempo, il melanoma, considerato il più temibile tumore della cute per la sua alta capacità di metastatizzazione, può insorgere a distanza di anni da esposizioni limitate nel tempo ma molto intense, come le ustioni in età pediatrica o giovanile.
Le misure di prevenzione del danno attinico devono tener conto sia dell’esposizione, sia di fattori individuali come il fototipo.
Il fototipo è un fattore geneticamente determinato; indica come la pelle reagisce all’esposizione al sole in base al colore della pelle, dei capelli, alla comparsa di eritemi e all’attitudine ad abbronzarsi.
Si distinguono sei differenti fototipi:
Fototipo 1
Capelli rossi o biondi. Pelle lattea, spesso con efelidi. Si scotta sempre. Non si abbronza mai.
Fototipo 2
Capelli biondi o castano chiari. Pelle chiara. In genere si scotta. Si abbronza con difficoltà.
Fototipo 3
Capelli castani. Pelle chiara con minimo colorito. Si scotta frequentemente. Abbronzatura chiara.
Fototipo 4
Capelli bruni o castano scuri. Pelle olivastra. Si scotta raramente. Si abbronza con facilità.
Fototipo 5
Capelli neri. Pelle olivastra. Non si scotta quasi mai. Abbronzatura facile e molto scura.
Fototipo 6
Capelli neri. Pelle nera. Non si scotta mai.
Più basso è il fototipo, maggiori saranno le probabilità di scottarsi e maggiore sarà il rischio di danno da esposizione solare, in particolare quello relativo alla comparsa di tumori cutanei.
MISURE DI PREVENZIONE
La migliore strategia per prevenire l’insorgenza di tumori cutanei e le alterazioni legate al fotoinvecchiamento è quella di proteggere la cute sia dall’esterno con i fotoprotettori topici, sia dall’interno con l’alimentazione, eventualmente supportata dagli integratori solari.
Diversi alimenti rappresentano un valido aiuto per contrastare il danno ossidativo indotto dal sole (responsabile del fotoinvecchiamento) e per stimolare la produzione di melanina; ne sono esempi il vino rosso (ricco in resveratrolo), spinaci e cavoli (ricchi in luteina), pomodoro (ricco in licopene), pesce (ricco in omega 3).
In commercio esistono anche degli integratori solari, prodotti a base di beta-carotene, estratti vegetali e vitamine A, C, E, che aiutano ad attivare le difese cutanee e a limitare i danni causati dal sole.
In particolare, tali integratori risulterebbero validi nel:
Rinforzare le auto-difese della pelle dagli effetti nocivi indotti dai raggi ultravioletti;
Stimolare la sintesi di pigmenti protettivi della pelle, come la melanina;
Favorire la formazione del collagene;
Proteggere la pelle dall'azione dannosa delle specie reattive dell'ossigeno (radicali liberi);
Ridurre l'eventuale reazione infiammatoria associata all' eccessiva esposizione al sole, come edema, arrossamento e comparsa di bolle;
Prevenire l'invecchiamento cutaneo fotoindotto (photoaging).
L’utilizzo di filtri solari (creme e prodotti topici) ha la funzione di fornire un aiuto esterno, creando una barriera che limita l’interazione tra il sole e la pelle.
La capacità schermante di questi cosmetici è indicata da un numero preceduto da una sigla (SPF- Sun Protection Factor).
Maggiore è il numero di SPF, più elevata è la protezione.
Esistono due categorie di filtri:
· Filtri fisici: sono rappresentati soprattutto da ossido di zinco e biossido di titanio e hanno una funzione specchio nei confronti dei raggi UV.
· Filtri chimici: sono rappresentati da derivati dell’acido para-amminobenzoico, benzopirene e acido salicilico.
I filtri chimici sono sostanze di sintesi con una struttura chimica che consiste, in genere, di un anello aromatico e di due gruppi funzionali in grado di agire da donatori o da accettori di elettroni.
Assorbono selettivamente i raggi UV a corta lunghezza d'onda e li convertono in radiazioni a lunghezza d'onda maggiore e meno energetiche.
L'energia assorbita da parte del filtro corrisponde all'energia richiesta per causarne l'eccitazione fotochimica ad uno stato di energia più alto rispetto a quello nel quale si trova; ritornando allo stato energetico iniziale, emette radiazioni di una lunghezza d'onda maggiore, non dannose per la nostra cute.
Requisiti di un filtro solare ideale sono:
Assorbimento massimo sia UVA che UVB;
Efficace a basso dosaggio;
Stabile e fotostabile;
Solubile in acqua e nei veicoli oleosi;
Compatibile con gli altri componenti della formulazione;
Buon profilo tossicologico;
Inodore;
Incolore;
Insapore;
Resistente all'acqua;
Non assorbito dalla cute.
Altra misura che va tenuta in conto nello svolgimento di attività outdoor riguarda l’orario durante il quale avviene l’esposizione.
La maggior parte dei dermatologi consiglia di evitare attività all’aperto nelle ore centrali della giornata (dalle 11 alle 15 circa), quando l’irraggiamento è più intenso.
Ciò vale anche per ambienti e per periodi dell’anno che, nell’immaginario collettivo, sono lontani rispetto al “rischio abbronzatura”: questo può nascondersi in spiaggia come in montagna, dove la neve riflette fino all’80% della luce solare, rendendo necessaria un’attenta fotoprotezione anche nei mesi meno caldi e assolati.
CONCLUSIONI
La pratica sportiva outdoor, accanto agli innumerevoli effetti positivi, può causare manifestazioni cutanee che, almeno inizialmente, vengono trascurate in quanto non compromettono il regolare svolgimento dell’attività.
Se si pratica attività sportiva all’aria aperta è quindi fondamentale fare ricorso ad un’adeguata fotoprotezione, tenendo conto del fototipo e del tipo di attività svolta.
Un ruolo importante è svolto anche dagli indumenti outdoor, che fungono da schermo per i raggi UV, realizzati con tessuti sintetici e generalmente di colore scuro.
Esposizione scorretta ai raggi solari e disinformazione sono tra i fattori che hanno fatto aumentare negli ultimi anni i tumori cutanei.
E’ quindi fondamentale attuare una prevenzione primaria attraverso campagne di sensibilizzazione, allo scopo di trasmettere corretti messaggi in maniera efficace e utile a prevenire i tumori cutanei.
E’ infine auspicabile una stretta collaborazione tra dermatologi, medici dello sport, preparatori atletici e allenatori allo scopo di evitare le molteplici affezioni legate alla pratica sportiva.
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